Saddam Husseyn, dal potere alla forcaE' stata vera giustizia? Ai lettori l'ardua sentenza (prima parte)
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Saddam Husseyn, dal potere alla forcaE' stata vera giustizia? Ai lettori l'ardua sentenza (prima parte)
Saddam Husseyn, dal potere alla forcaE' stata vera giustizia? Ai lettori l'ardua sentenza (prima parte)
Saddam Husseyn Abd al Majid al Tikriti nacque il 28 aprile 1937 nel villaggio di Al Awia non lontano dalla città di Tikrit. Abbandonato in tenera età dal padre fu allevato -tra non poche difficoltà economiche- dalla madre e da uno zio.
Nel 1956 si iscrisse al partito Baath (Partito della Resurrezione). La storia di questo partito merita di essere brevemente raccontata anche perché è strettamente legata a quella personale di Saddam Husseyn.
Il partito Baath venne fondato nell’immediato dopo guerra in Siria da un cristiano, Michael Aflak e da un musulmano sunnita Sal Din Bitar. Le sue parole d’ordine erano: unità araba, libertà e socialismo. A scanso di equivoci si deve precisare che la parola socialismo era utilizzata con un significato ben differente da quello che siamo abituati a dargli in Occidente. iIl partito Baath infatti rifiutava ogni forma di lotta di classe e faceva della proprietà privata un caposaldo della propria azione economica. Il “socialismo” propugnato dal partito Baath si limitava quindi alla richiesta di nazionalizzazione delle risorse energetiche, anche per sottrarre la principale ricchezza nazionale di molti paesi arabi alla notoria rapacità delle multinazionali del petrolio.
Il partito Baath, dopo alcuni anni alquanto stentati, vide confluire tra le sue file molti militanti del partito socialista siriano e del movimento Istlikal irakeno, un movimento politico che durante la seconda guerra mondiale non aveva nascosto le sue simpatie per le potenze dell’Asse. Così rinvigorito riusciva ad assumere un ruolo importante sia in Siria che in Iraq.
A Bagdad nel 1958 partecipò al colpo di stato per cacciare re Feysal II, ma successivamente si vide relegato ai margini del potere che si concentrava invece nella mani di Abd al Karim Qasim un nazionalista con simpatie socialisteggianti che godeva anche dell’iniziale appoggio del Partito Comunista. Fu probabilmente proprio allora che iniziarono i contatti tra il partito Baath e la CIA, probabilmente preoccupata della deriva filo-sovietica che andava prendendo il regime di Qasim. Nel 1959 fallì un tentativo di assassinarlo mentre ebbe invece successo nel 1963 un colpo di stato guidato proprio dal partito Baath alleato per l’occasione con alcuni alti ufficiali dell‘esercito. Qasim e 5000 suoi sostenitori furono trucidati e fu proprio nella spietata opera di repressione seguita al colpo di Stato che si distinse Saddam Husseyn scalando rapidamente, grazie ad indubbie capacità, compresa quella di agire con spietata durezza, le gerarchie del partito. Il Baath divise il potere con altre forze politiche fino al luglio del 1968, quando con un nuovo colpo di stato, si liberò degli alleati e diede il via al regime baathista irakeno facendo eleggere come presidente Al Bakr. Nel 1979 questi si dimise designando come successore quello che era già in realtà l’uomo forte del regime: Saddam Husseyn al Tikriti.
Gli anni del suo regime non possono essere raccontati in poche righe ed è difficilissimo esprimere un giudizio univoco. Saddam Husseyn fu spietato con i nemici e gli oppositori e non si contato gli episodi di crudeltà contro coloro che venivano sospettati di complottare contro il regime. Il padre dell’attuale leader sciita Motqada Sadr, per esempio, venne fatto uccidere con dei chiodi piantati nella testa alla presenza della moglie. Molte persone furono incarcerate, spesso torturate e talvolta eliminate. Non ci si può peraltro nascondere che questi metodi sono comuni a molti regime della regione e Saddam può mettere sull’altro piatto della bilancia anche indubbi meriti: la creazione di un sistema scolastico di buon livello e assolutamente gratuito, un sistema sanitario ugualmente gratuito e di standard quasi europeo, l’abolizione della sharia, la distribuzione di terre ai contadini, lo sradicamento dell’analfabetismo (certificata dall’ONU nel 1984), l’elettrificazione dell’intero paese, la distribuzione -controllata personalmente dallo stesso Saddam Husseyn- di frigoriferi anche alle famiglia più povere che contribuì ad azzerare le morti per intossicazioni alimentari, la parificazione di tutte le confessioni religiose davanti allo stato (caso praticamente unico in un paese arabo a grande prevalenza musulmana), la libertà di culto per le minoranze religiose, in particolare per i cristiani verso i quali Saddam Husseyn ebbe sempre un occhio di riguardo.
Se fino alla fine degli anni ‘70 gli americani avevano visto nel regime baathista solo un buon alleato nella lotta contro l’espansione sovietica, dopo la rivoluzione khomeinista in Iran, decisero di puntare sul loro “amico” di Baghdad per fermare la temuta espansione del regime degli ayatollah. Fu così che. anche in forza dei consigli, delle armi e delle informazioni ricevuti dall’America (l‘ex presidente iraniano Bani Sadr ha parlato addirittura di piani di battaglia elaborati dai generali americani e passati ai loro colleghi iracheni), Saddam Husseyn decise di attaccare l’Iran dando il via ad una guerra durata otto anni, costata forse più di un milione di morti e conclusasi di fatto senza vinti e senza vincitori. Contemporaneamente alle battaglie sul fronte principale l’esercito iracheno dovette affrontare le rivolte di tribù sciite e curde che si erano alleate agli iraniani. Il problema venne risolto con la consueta spietata durezza.
Nel 1990 - pare dopo aver ricevuto un ufficioso via libera americano - Saddam Husseyn decise di occupare il Kuwait che veniva considerato storicamente come una provincia irachena. Il rais di Baghdad aveva fatto però male i suoi conti, non considerando a sufficienza i mutamenti avvenuti sulla scena internazionale. In profonda crisi l’Unione Sovietica, decisamente diminuito il pericolo di una diffusione della rivoluzione khomeinista al di fuori dei confini iraniani l’interesse statunitense per il regime baathista era ben diverso da quello avuto in passato. Vi erano altre priorità: eliminare un potenziale pericolo per Israele e mettere direttamente le mani su aree ricchissime di petrolio.
La reazione internazionale all’invasione irachena del Kuwait fu perciò ben diversa da quella che Saddam Husseyn aveva immaginato, o che forse gli era stata ventilata. Come è noto si formò una coalizione internazionale a guida USA che, partendo dalle basi create in Arabia Saudita, attaccò l’Iraq, costringendolo ad abbandonare il Kuwait dopo aver distrutto una buona parte delle sue risorse militari.
Seguirono gli anni dell’ embargo economico con conseguenze drammatiche sulla popolazione. Secondo fonti indipendenti almeno un milione di iracheni (in prevalenza bambini) morirono durante quegli anni per la mancanza di medicine e attrezzature mediche. Quello che era stato uno dei più efficenti servizi sanitari del Medio Oriente si trovò nelle condizioni di non essere più in grado di curare neppure le malattie infantili più comuni. Non mancarono continue scaramucce militari e incursioni aeree anglo americane all’interno del territorio iracheno.
(1 - continua)
Mario Villani
Saddam Husseyn Abd al Majid al Tikriti nacque il 28 aprile 1937 nel villaggio di Al Awia non lontano dalla città di Tikrit. Abbandonato in tenera età dal padre fu allevato -tra non poche difficoltà economiche- dalla madre e da uno zio.
Nel 1956 si iscrisse al partito Baath (Partito della Resurrezione). La storia di questo partito merita di essere brevemente raccontata anche perché è strettamente legata a quella personale di Saddam Husseyn.
Il partito Baath venne fondato nell’immediato dopo guerra in Siria da un cristiano, Michael Aflak e da un musulmano sunnita Sal Din Bitar. Le sue parole d’ordine erano: unità araba, libertà e socialismo. A scanso di equivoci si deve precisare che la parola socialismo era utilizzata con un significato ben differente da quello che siamo abituati a dargli in Occidente. iIl partito Baath infatti rifiutava ogni forma di lotta di classe e faceva della proprietà privata un caposaldo della propria azione economica. Il “socialismo” propugnato dal partito Baath si limitava quindi alla richiesta di nazionalizzazione delle risorse energetiche, anche per sottrarre la principale ricchezza nazionale di molti paesi arabi alla notoria rapacità delle multinazionali del petrolio.
Il partito Baath, dopo alcuni anni alquanto stentati, vide confluire tra le sue file molti militanti del partito socialista siriano e del movimento Istlikal irakeno, un movimento politico che durante la seconda guerra mondiale non aveva nascosto le sue simpatie per le potenze dell’Asse. Così rinvigorito riusciva ad assumere un ruolo importante sia in Siria che in Iraq.
A Bagdad nel 1958 partecipò al colpo di stato per cacciare re Feysal II, ma successivamente si vide relegato ai margini del potere che si concentrava invece nella mani di Abd al Karim Qasim un nazionalista con simpatie socialisteggianti che godeva anche dell’iniziale appoggio del Partito Comunista. Fu probabilmente proprio allora che iniziarono i contatti tra il partito Baath e la CIA, probabilmente preoccupata della deriva filo-sovietica che andava prendendo il regime di Qasim. Nel 1959 fallì un tentativo di assassinarlo mentre ebbe invece successo nel 1963 un colpo di stato guidato proprio dal partito Baath alleato per l’occasione con alcuni alti ufficiali dell‘esercito. Qasim e 5000 suoi sostenitori furono trucidati e fu proprio nella spietata opera di repressione seguita al colpo di Stato che si distinse Saddam Husseyn scalando rapidamente, grazie ad indubbie capacità, compresa quella di agire con spietata durezza, le gerarchie del partito. Il Baath divise il potere con altre forze politiche fino al luglio del 1968, quando con un nuovo colpo di stato, si liberò degli alleati e diede il via al regime baathista irakeno facendo eleggere come presidente Al Bakr. Nel 1979 questi si dimise designando come successore quello che era già in realtà l’uomo forte del regime: Saddam Husseyn al Tikriti.
Gli anni del suo regime non possono essere raccontati in poche righe ed è difficilissimo esprimere un giudizio univoco. Saddam Husseyn fu spietato con i nemici e gli oppositori e non si contato gli episodi di crudeltà contro coloro che venivano sospettati di complottare contro il regime. Il padre dell’attuale leader sciita Motqada Sadr, per esempio, venne fatto uccidere con dei chiodi piantati nella testa alla presenza della moglie. Molte persone furono incarcerate, spesso torturate e talvolta eliminate. Non ci si può peraltro nascondere che questi metodi sono comuni a molti regime della regione e Saddam può mettere sull’altro piatto della bilancia anche indubbi meriti: la creazione di un sistema scolastico di buon livello e assolutamente gratuito, un sistema sanitario ugualmente gratuito e di standard quasi europeo, l’abolizione della sharia, la distribuzione di terre ai contadini, lo sradicamento dell’analfabetismo (certificata dall’ONU nel 1984), l’elettrificazione dell’intero paese, la distribuzione -controllata personalmente dallo stesso Saddam Husseyn- di frigoriferi anche alle famiglia più povere che contribuì ad azzerare le morti per intossicazioni alimentari, la parificazione di tutte le confessioni religiose davanti allo stato (caso praticamente unico in un paese arabo a grande prevalenza musulmana), la libertà di culto per le minoranze religiose, in particolare per i cristiani verso i quali Saddam Husseyn ebbe sempre un occhio di riguardo.
Se fino alla fine degli anni ‘70 gli americani avevano visto nel regime baathista solo un buon alleato nella lotta contro l’espansione sovietica, dopo la rivoluzione khomeinista in Iran, decisero di puntare sul loro “amico” di Baghdad per fermare la temuta espansione del regime degli ayatollah. Fu così che. anche in forza dei consigli, delle armi e delle informazioni ricevuti dall’America (l‘ex presidente iraniano Bani Sadr ha parlato addirittura di piani di battaglia elaborati dai generali americani e passati ai loro colleghi iracheni), Saddam Husseyn decise di attaccare l’Iran dando il via ad una guerra durata otto anni, costata forse più di un milione di morti e conclusasi di fatto senza vinti e senza vincitori. Contemporaneamente alle battaglie sul fronte principale l’esercito iracheno dovette affrontare le rivolte di tribù sciite e curde che si erano alleate agli iraniani. Il problema venne risolto con la consueta spietata durezza.
Nel 1990 - pare dopo aver ricevuto un ufficioso via libera americano - Saddam Husseyn decise di occupare il Kuwait che veniva considerato storicamente come una provincia irachena. Il rais di Baghdad aveva fatto però male i suoi conti, non considerando a sufficienza i mutamenti avvenuti sulla scena internazionale. In profonda crisi l’Unione Sovietica, decisamente diminuito il pericolo di una diffusione della rivoluzione khomeinista al di fuori dei confini iraniani l’interesse statunitense per il regime baathista era ben diverso da quello avuto in passato. Vi erano altre priorità: eliminare un potenziale pericolo per Israele e mettere direttamente le mani su aree ricchissime di petrolio.
La reazione internazionale all’invasione irachena del Kuwait fu perciò ben diversa da quella che Saddam Husseyn aveva immaginato, o che forse gli era stata ventilata. Come è noto si formò una coalizione internazionale a guida USA che, partendo dalle basi create in Arabia Saudita, attaccò l’Iraq, costringendolo ad abbandonare il Kuwait dopo aver distrutto una buona parte delle sue risorse militari.
Seguirono gli anni dell’ embargo economico con conseguenze drammatiche sulla popolazione. Secondo fonti indipendenti almeno un milione di iracheni (in prevalenza bambini) morirono durante quegli anni per la mancanza di medicine e attrezzature mediche. Quello che era stato uno dei più efficenti servizi sanitari del Medio Oriente si trovò nelle condizioni di non essere più in grado di curare neppure le malattie infantili più comuni. Non mancarono continue scaramucce militari e incursioni aeree anglo americane all’interno del territorio iracheno.
(1 - continua)
Mario Villani
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